Cosa spinge un genitore a portare il figlio in terapia? Sono tanti i bambini che hanno un comportamento strano, indice del fatto che qualcosa non va. Eppure la maggior parte dei genitori, a meno che non si tratti di qualcosa di eclatante ed evidente, e confermato dal pediatra, esita prima di chiedere aiuto. “È solo un periodo”, spesso dicono a se stessi, “crescendo ne verrà fuori”.
Quando i genitori si decidono, di solito la situazione è già diventata molto difficile, se non insostenibile, vuoi per loro vuoi per il figlio. Anche quando i genitori non sono direttamente toccati dal comportamento del figlio, il disagio, l’ansia o la preoccupazione li spingono al punto di prendere dei provvedimenti.
A volte i genitori portano il figlio in terapia perché c’è stato un evento straordinario, per essere certi che il bambino esprima interamente tutte quelle emozioni pregnanti che sono legate all’evento stesso, quale può essere la morte o la malattia di una persona amata, maltrattamenti, molestie sessuali oppure un’esperienza che lo ha profondamente spaventato come un incidente stradale o un terremoto.
Non è semplice valutare qual è il momento più adatto per portare un bambino in terapia. Spesso il bambino stesso si preoccupa di fare qualcosa – facendo il diavolo a quattro finché qualcuno non lo nota. La scuola è spesso la prima ad accorgersene, oppure il pediatra.
L’abilità dello psicoterapeuta dell’infanzia consiste in questi casi nel sintonizzarsi su questi registri espressivi tipici del bambino, così da permettergli di sperimentare percorsi emotivi che lo rimettano nella direzione dello sviluppo sano. Lo psicoterapeuta deve quindi imparare a “mettersi in gioco” scendendo con il bambino nelle sue fantasie tenendo funzionante, al contempo, il registro adulto.
Gioco, disegno, fiabe, consentono di dare alla terapia con i bambini una cornice ludica e di creare una relazione terapeutica basata sulla condivisione di una modalità espressiva che il bambino privilegia, in un contesto rassicurante e sereno.
Mediante il gioco, nel “fare finta che”, il bambino può esprimere metaforicamente e in modo libero, i conflitti, le paure, i vissuti angosciosi, il mondo delle sue relazioni, materiali preziosissimi per il terapeuta.
In una buona psicoterapia di un bambino i genitori devono diventare co-terapeuti; devono cioè essere inseriti e coinvolti nel percorso, così da permettere al terapeuta di comprendere la trama relazionale familiare e di intervenire per modificare quelle modalità che sostengono e amplificano le difficoltà in atto, fornendo ai genitori valide strategie per gestire ed affrontare efficacemente tali problematiche.
A volte, secondo le specificità di ogni caso, può ravvisarsi l’opportunità di lavorare solamente con i genitori, effettuando un trattamento indiretto, senza sia necessaria la presenza del bambino e fornendo ai genitori il necessario supporto per affrontare efficacemente le difficoltà.
i bambini sanno qualcosa che la maggior parte della gente ha dimenticato
(Haring)